La perduta Benelli di Joey Dunlop

DA PESARO ALL’ISOLA DI MAN

SEI CILINDRI IN SALSA ITALIANA

La Benelli 750 Sei, presentata nel 1972 e immessa nel mercato nel ’74, è stata la prima moto stradale a 6 cilindri di serie della storia. Al netto delle aspettative che una moto tanto particolare nell’impostazione meccanica aveva raccolto, che vennero in parte diluite dalla lunga attesa per la sua commercializzazione, questo modello ha saputo comunque raccogliere importanti consensi e mantiene ancora oggi delle valutazioni molto alte.

Già negli anni ’50 e ’60 si erano viste moto da competizione con questo frazionamento, messe fuori gioco dal 1970 in poi dall’introduzione del nuovo regolamento del Mondiale GP che imponeva un massimo di 4 cilindri nella classe regina. La nuova proposta di Benelli stimolò quindi la possibilità di riportare in gara un sei cilindri e anche se la 750 Sei non era una moto certo pensata per questo tipo di uso fu utilizzata in campo agonistico.

Uno dei casi più sconosciuti in cui ciò avvenne è legato a un pilota che è diventato un’autentica leggenda nel motociclismo: Joey Dunlop. Di lui basti ricordare le ventisei vittorie al temibile Tourist Trophy dove finì altre quattordici volte sul podio. Un personaggio che anche per la sua natura schiva e la prematura morte, avvenuta il 2 luglio del 2000 in una gara su strada a Tallinn in Estonia, è diventato un’icona di questo sport.

DUNLOP SULLA SEI AL MOUNTAIN

Dunlop fu messo sotto contratto da Agrati UK, allora importatore Benelli in Inghilterra, per partecipare al Tourist Trophy sia nell’edizione del 1978 che in quella del 1979. Nel ’78 prese parte alla gara della categoria F.2 con la 500 “Quattro” a quattro cilindri con la quale si qualificò con un più che onorevole quinto posto, mentre l’anno successivo si presentò al via della F.1 con una 750 Sei profondamente modificata e con la cilindrata aumentata.

L’allestimento del mezzo fu affidato a Elbymoto, un’importante shop di Londra importatore e rivenditore di moto italiane e fu seguito da Jon Green, un ingegnere che si era distinto per le sue innovative realizzazioni in campo motociclistico. La gara di Dunlop si fermò dopo un solo giro della massima categoria dopo aver segnato un tempo non particolarmente rilevante, ma di fatto legò il suo nome a quello della casa pesarese.

Come spesso accade alle moto da corsa dopo essere state utilizzate in gara e aver quindi smesso la loro destinazione principale per anni si sono perse le tracce dell’esemplare della Benelli di Dunlop. E così di quella che gli inglesi battezzarono sarcasticamente “The Plumber’s Nightmare” (l’incubo dell’idraulico) per via del complesso giro che i sei tubi di scarico facevano prima di raggiungere il silenziatore finale, non si seppe più nulla.

UNA MAIL INASPETTATA

Spinto dagli amici del Registro Storico Benelli, sempre alla ricerca di curiosità e ritrovamenti legati al marchio del leone rampante con le tre stelle, qualche tempo fa mi sono messo sulle tracce di questa introvabile versione della sei cilindri pesarese. In un forum britannico rintraccio una discussione che la riguarda e risalgo al nome di un utente che dice di saperne qualcosa. Trovo il suo profilo su Linkedin e lo contatto.

Mi risponde entusiasta raccontandomi che la moto originale di Dunlop è andata perduta, ma sta cercando la ciclistica originale e vorrebbe utilizzare un motore di una 900 Sei per ricostruirla. in questo progetto è riuscito ad avere proprio l’aiuto di Jon Green, che aveva realizzato la moto all’epoca, portando come da regolamento della categoria TT F1 la cilindrata fino al massimo consentito di 998 cc. e dotandola di un telaio inedito.

Mi spiega che il motivo delle prestazioni del mezzo, non particolarmente esaltanti all’epoca, era stato in gran parte dovuto a una sfavorevole condizione regolamentare. Le norme del Campionato TT permettevano un’ampissima libertà nell’elaborazione dei mezzi e venne spesso criticata perché permetteva di creare di fatto delle moto da competizione che ben poco avevano a che fare con quelle di serie. Ma non tutto era consentito.

IL LEONE DI PESARO E’ TORNATO A RUGGIRE

Alcuni di questi vincoli riguardavano l’alimentazione, che non poteva essere variata dalla versione originale. La Benelli 750 Sei, per limitare l’ingombro del motore tra le gambe del pilota, era dotata di 3 carburatori che alimentavano ognuno 2 cilindri grazie a un collettore sdoppiato. Da regolamento questi non potevano essere sostituiti con 6 singoli diffusori, come già molti facevano nel modello di serie nell’uso su strada per migliorarne la resa.

In pratica Green, pur essendo riuscito a realizzare una moto a suo dire dal buon equilibrio ciclistico, non riuscì nonostante la cilindrata portata a 998 cc. a far esprimere tutto il suo potenziale in termini di cavalleria. I tre carburatori, per quanto di diametro maggiore, non erano in grado di alimentare sufficientemente i sei cilindri della moto italiana impedendole così di raggiungere le massime prestazioni possibili.

Ma la notizia più bella è un’altra. La moto di Dunlop è finalmente rinata, sulla base del telaio originale utilizzato per il TT del 79 e con un motore preparato con le stesse caratteristiche di allora. Potete sentire il rombo del suo sei cilindri in questo video durante la partecipazione alla rievocazione della Kop Hill Climb dove è stata anche dotata della sua carena definitiva. Chissà se il buon Joey da lassù l’ha sentita passare…

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